Rif:
Comune: Decimoputzu
Su Mobiu de Santu Basibi non era propriamente un mulino per la macinazione dei cereali ma bensì un mulino d’acqua, ossia una infrastruttura che aveva la funzione di attingere, attraverso un meccanismo a noria, azionato tramite la trazione animale (generalmente un asino, o un cavallo), acqua da un pozzo o da una cisterna. In particolare, il meccanismo a noria era costituito da una ruota in legno girante attorno ad un asse sostenuto da un basamento in pietra. Attorno alla ruota poteva scorrere il cordame, costituito da rami di mirto o di olivastro intrecciati, al quale erano fissate brocche in terracotta (tuvus). Questi recipienti, solidali al cordame, grazie al movimento della ruota, entravano in uno degli imbocchi praticati nella copertura esterna del pozzo e, una volta pescata l’acqua sul fondo dello stesso, risalivano verso l’esterno fuoriuscendo da un secondo imbocco, scaricando il contenuto nelle vasche laterali. L’utilizzo di questo mulino d’acqua era prevalentemente quello di irrigazione agraria. La presenza di piccole vasche addossate all’esterno della struttura principale fanno ipotizzare anche la funzione di abbeveratoio per il bestiame e lavatoio.
I ruderi visibili presso San Basilio denotano la struttura principale del pozzo (la cui profondità è, allo stato attuale, non rilevabile per la presenza di macerie sul fondo) costruita in blocchi di roccia vulcanica uniti con malta; la copertura del pozzo, voltato internamente con mattoncini in argilla, presenta le aperture dei due imbocchi di ingresso e uscita del meccanismo a noria. Addossate alla struttura del pozzo sono presenti tre distinte vasche di deposito dell’acqua le cui pareti risultano impermeabilizzate con malta; sul fondo di una di queste è osservabile uno sfioro collegato, ulteriormente verso l’esterno, a strette vaschette che si allungano pressoché lungo tutto il perimetro. L’esistenza del “mulino”, testimoniato nella cartografia catastale del primo impianto (ante 1931), è indicato da fonti orali già dall’inizio del ‘900, corredato del meccanismo a noria; alla presenza della vicina chiesa intitolata a San Basilio può essere ricondotta, probabilmente nel periodo post-medievale, la sua costruzione e l’utilizzo principale per l’irrigazione dei campi e l’abbeveraggio degli animali. La presenza di un tratto della “gora su molinu”, desunta dalla cartografia catastale, fa ipotizzare la presumibile adduzione idrica da un corso d’acqua limitrofo. A tal proposito bisognerebbe, appunto, appurare se la struttura possa essere considerata un pozzo o una cisterna, ossia se veniva sfruttata una falda idrica esistente in situ o se l’acqua veniva condotta al “serbatoio” mediante, appunto, una gora che derivava parte dei contributi idrici di un torrente, per poi modularne adeguatamente, una volta raccolta, l’utilizzo.
I pozzi e le cisterne con meccanismo a noria erano caratteristici dei campi del Campidano; ruderi ed elementi significativi di un vecchio pozzo con noria azionata da animali sono stati riscontrati presso Santa Barbara, in agro di Capoterra (vedi foto n° 6 nella gallery). L’approvvigionamento idrico con le stesse modalità, avveniva anche nei più antichi pozzi del periodo pisano (es. pozzo di San Pancrazio, piazza indipendenza, Cagliari) e del periodo romano (es. pozzo Libarium, Orto botanico di Cagliari).
In un documento del fondo “Tribunale – Cause Penali – Processi decisi”, conservato presso l’Archivio di Stato di Cagliari, viene citata la causa “Furto di 492 tegole del valore di lire 25 dal Molino di San Basilio di pertinenza al detto Santo”, in località Decimoputzu (anno di inzio 1869 – anno di fine 1870). Non è appurata l’attinenza tra il fatto e il sito qui descritto; ciononostante la denominazione del molino e il riferimento indiretto alla chiesa attigua intitolata all’omonimo Santo non lasciano molte alternative.
Giuseppe Piras, Simona Ena